25 APRILE: UNA GIORNATA A MEMORIA DELLA LIBERAZIONE

Lo riesco ad immaginare. Me lo figuro magro, slanciato, biondino. Oppure un ragazzone ben piantato dalla barba lunga. Potrebbe chiamarsi Alfredo, Armando, Giovanni, Paolo o Luca. Potrebbe avere intorno ai vent’anni, gli anni della gioventù, gli anni in cui tutti noi, oggi, siamo abituati ad immaginarci un futuro, un lavoro, una famiglia.

Lui, invece, chiunque sia, sta chiuso, in una celletta buia, con un foglio di carta ed una penna per scrivere quella che sarà la sua ultima lettera.

“Cari mamma e papà, cari tutti, devo dirvi addio. Non piangetemi, sono sereno.”

Poche righe per lasciare al mondo il segno di un coraggio e di un valore che sta a noi, oggi, onorare.

Alfredo, Armando, Giovanni, Paolo, o qualunque sia il suo nome, è stato condannato a morte: “Mi hanno condannato” – scrive – “solo perché sono partigiano”.

I partigiani – lo dice la parola stessa – sono coloro che, durante l’occupazione nazi-fascista dell’Italia – scelsero da che parte stare: combatterono, resistettero, morirono per l’ideale di un Paese libero, democratico, civile.

Sta racchiuso tutto qui il senso della giornata che ogni anno, simbolicamente il venticinquesimo giorno di aprile, celebriamo a memoria della “liberazione”, proprio nell’anniversario di quel giorno in cui scattò, in Italia, l’ordine di resa per quei territori ancora occupati e, a valore ancor più suggestivo, in Germania, l’esercito statunitense e i relativi alleati, fecero irruzione nel campo di concentramento di Buchenwald.

Non è difficile immaginare che quel giovanotto, autore di una lettera d’addio, non abbia visto quella giornata del 1945 né tanto meno le giornate successive a cui, quasi distrattamente, ognuno di noi, di anno in anno, dedica l’emozione di un tricolore sui social network o di una parata sotto casa.

Mi sento, quindi, a questo punto, in dovere di non dare più spazio all’immaginazione, ma di rendere onore alla realtà che è stata e, senza la quale, non saremmo ciò che siamo: scelgo, tra le tante, una lettera che, oltre alla mia immaginazione, ha fatto parte della nostra storia.

“Carissimi genitori, parenti e amici tutti, devo comunicarvi una brutta notizia. Io e Candido, tutt’e due, siamo stati condannati a morte. Fatevi coraggio, noi siamo innocenti. Ci hanno condannati solo perché siamo partigiani. Io sono sempre vicino a voi.

Dopo tante vitacce, in montagna, dover morir così…

Ma, in Paradiso, sarò vicino a mio fratello, con la nonna, e pregherò per tutti voi.

Vi sarò sempre vicino, vicino a te, caro papà, vicino a te, mammina.

Vado alla morte tranquillo assistito dal Cappellano delle Carceri che, a momenti, deve portarmi la Comunione. Andate poi da lui, vi dirà dove mi avranno seppellito.

Pregate per me. Vi chiedo perdono, se vi ho dato dei dispiaceri.

Dietro il quadro della Madonna, nella mia stanza, troverete un po’ di denaro. Prendetelo e fate dire una Messa per me. La mia roba datela ai poveri del paese. Salutatemi il Parroco ed il Teologo, e dite loro che preghino per me. Voi fatevi coraggio. Non mettetevi in pena per me.

Sono in Cielo e pregherò per voi. Termino con mandarvi tanti baci e tanti auguri di buon Natale.

Io lo passerò in Cielo. Arrivederci in Paradiso.

Vostro figlio Armando”

Armando non è più un frutto della mia fantasia, Armando Amprino, invece, era ed è parte della realtà: un giovane di diciannove anni che ha scelto di sacrificare il suo futuro per il nostro domani, il suo impegno per i nostri ideali.

Torno, dunque, alla realtà e penso a me quando avevo diciannove anni, penso ai tanti che hanno oggi diciannove anni. Come sono?! Come eravamo?! Semplicemente giovani con la voglia di vivere, sognare, pensare ad un futuro.

Armando, invece, ha fatto una scelta di Amore e libertà; ed è morto, ammazzato, fucilato, solo contro un muro, nel freddo dicembre del 1944.

E, se vogliamo, proprio oggi che viviamo nuovi tempi di incertezza e nuove minacce di guerra, dare un senso a ciò che è stato e a ciò che ogni giorno viviamo, dobbiamo, tutti, sentire il dovere di continuare a sognare, anche per lui e, soprattutto, grazie a lui e ai tanti, come lui, che ci hanno regalato la libertà, la civiltà, la dignità.

Giorgio Moranda

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